A Natale siamo tutti più… DOLCI!

Dato che le feste di Natale si avvicinano e ci ritroviamo immersi nei colori, negli odori e nei sapori di questa magica festa, abbiamo deciso di dedicare un angolo di aRt’s Creation ai dolci tipici natalizi di alcune regioni italiane.

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piemonte Il tronchetto di Natale, di Rachel

In Piemonte … Natale non è Natale senza il dolce tradizionale per eccellenza … il famosissimo ‘Tronchetto di Natale’.

Di origine francese (Bûche de Noël è infatti il suo nome originale), questa delizia dai contorni e dal cuore morbido e cioccolatoso, intervallati da uno splendido e soffice pan biscotto fatto in casa, ha, molti anni fa, oltrepassato il confine alpino e invaso le campagne, allora come oggi, abitate da gente modesta, introversa e lavoratrice.

Le famiglie della zona, riunite attorno ad un solo focolare, nella stagione invernale erano solite andare a letto molto presto, all’imbrunire, per evitare che il freddo pungente della sera intaccasse i loro muscoli già spossati dal duro lavoro della giornata in campagna.

Queste persone avevano inoltre l’abitudine di mantenere il fuoco acceso all’interno del camino durante tutta la nottata affinché un lieve tepore perdurasse all’interno delle stanzine in cui bambini e genitori ma anche zii, nonni e parenti giacevano rannicchiati e addormentati.

Inutile dire che la notte di Natale voleva dire, per molti, stare alzati per lunghe ore in attesa della Messa di Mezzanotte, vittime esitanti colpite inevitabilmente dal gelido vento che si intrufolava fin sotto i mantelli, incurante di tutto.

Proprio per prevenire, per quanto possibile, il freddo insopportabile e inclemente, le famiglie erano solite conservare un ceppo di legna, un grosso pezzo di tronco (solitamente di castagno oppure di quercia) grezzo, staccato da un albero abbattuto e, molto spesso, con ancora attaccate alcune radici.

Durante la Notte Santa, il capofamiglia dava vita a un vero e proprio spettacolo, quello che si potrebbe definire un rituale: metteva infatti il ceppo nel camino, lo benediceva con un segno di croce, lo bagnava con del vino rosso e, nel dargli fuoco, pronunciava la formula augurale (che variava leggermente da una zona all’altra della regione), consistente in “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane”.

Legata a questa tradizione tipicamente contadina nasce la leggenda che narra come questo ceppo, posto nel camino proprio durante la Notte di Natale, avrebbe dovuto continuare ad ardere e bruciare, in segno di buona fortuna, per le dodici notti che collegano la festività del Natale con l’Epifania. Dodici notti che simboleggiano i 12 mesi dell’anno, in unione col ceppo bruciante che rappresenta il sole che, con la sua luce e il suo calore, dona vita.

Il dolce, in particolare nella sua forma, rievoca proprio questo famoso ceppo di legno e porta con sé il ricordo di quelle famiglie, di quel tepore ricercato e raccolto nella notte più magica dell’anno.

tronchettoRealizzazione del dolce.

La prima cosa da fare nella preparazione del dolce è dividere i tuorli dagli albumi, mettendoli in due recipienti differenti. I rossi vanno poi montati, insieme allo zucchero, fino ad ottenere una crema soffice e chiara. Qui vanno poi aggiunte la farina (passata al setaccio) e la fecola di patate.

Nell’altro recipiente, gli albumi vanno a loro volta montati a neve ferma; una volta ottenuto il risultato, i bianchi vanno uniti al composto ottenuto in precedenza, mescolando il tutto con calma.

Lasciando riposare il composto, bisogna, a questo punto, munirsi di teglia da forno. Quest’ultima va ricoperta con carta forno e, al suo interno, va versato l’impasto preparato, che andrà in forno (preriscaldato a 180°) per circa 10 minuti.

Terminata la cottura, prepararsi un foglio di carta forno delle stesse dimensioni della teglia su cui adagiare la pasta biscotto appena sfornata, che andrà, a questo punto, spolverata di zucchero e che verrà sigillata con della pellicola, affinché possa rimanere morbida per essere poi arrotolata senza problemi.

A questo punto, si prepara la crema pasticcera, a cui andrà aggiunto il cacao in polvere (precedentemente setacciato).

Il passaggio successivo consiste nell’unire i due risultati ottenuti: la crema al cacao va spalmata sul pan biscotto che, a sua volta, sarà arrotolato diventando un bel rotolo farcito bicolore. Anche dopo questo passaggio, è consigliabile avvolgere il tutto all’interno della pellicola, se non altro per far mantenere la forma al dolce.

Ultima tappa è la preparazione della crema ganache per la copertura. La panna va versata all’interno di un pentolino, insieme allo zucchero e ad una noce di burro. Il fuoco va mantenuto basso e, sempre mescolando, bisogna attendere che si giunga quasi a bollore. In questa fase, va aggiunto il cioccolato tritato, sempre continuando a mescolare. Quando si giunge ad avere un composto omogeneo, lasciare riposare per qualche minuto. Una volta raffreddata completamente, la crema va montata fino a raggiungere una consistenza cremosa e soffice.

La crema ottenuta va ora spalmata sulla superficie del dolce e rigata con una forchetta per simulare le venature del tronco.

Un’aggiunta decorativa possono essere le foglie di pasta di zucchero con annesse bacche rosse, che danno un tocco di classe in più ad un dolce già di suo molto d’impatto.

Prima di servire è inoltre opportuno fare riposare il tutto in frigorifero per almeno una mezz’ora. Una spolverata finale di zucchero a velo prima di portarlo in tavola è poi il tocco dell’artista che non dovrebbe mancare e che darà al dolce ancora più raffinatezza.

Il Pandolce genovese, di Alessia

liguria

Nella solenne atmosfera natalizia, ora come in passato, in mezzo alla tavola troneggiava il Pandöçe.

Basso e di forma circolare è conosciuto in tutto il mondo (viene conosciuto anche Genoa Cake in Gran Bretagna), esso rappresentava la ricchezza di Genova al tempo delle repubbliche marinare, infatti, grazie alla sua lunga conservazione, era adatto per i lunghi viaggi in mare.

pandolcePreparazione:

Impastare il lievito con tanta farina quanta ne assorbe e far lievitare per 12 ore.

Impastare con l’altra farina, l’acqua di fior d’arancio, il marsala, il burro liquefatto e tutti gli altri ingredienti, aggiungendo tanto latte quanto ne serve per una pasta morbida.

Formare un pane e porlo a lievitare per altre 12 ore fasciato con un tovagliolo.

Effettuare un taglio a triangolo sulla cima del pandolce.

Mettere in forno a caldo per poco più di un’ora.

Curiosità:

Secondo la tradizione una fetta va lasciata e consegnata ai poveri il giorno di S. Biagio ( 3 Febbraio)

La lievitazione di questo dolce è sempre stata importante, infatti molte persone lo portavano nel proprio letto la notte vicino allo scaldino

Si usava far togliere dal più giovane dei commensali il ramoscello d’ulivo che lo incoronava, mentre il più anziano divideva le porzioni.

La prima fetta era destinata alla donna di casa, solitamente la mamma.

Poesia 

Dialetto                                                   Italiano

Vitta lunga con sto’ pan!                           Vita lunga con questo pane! 

Prego a tutti tanta salute                          Prego per tutti tanta salute,

comme ancheu, comme duman,             come oggi, così domani

affettalu chi assettae                                  si possa affettarlo qui seduti, 

da mangialu in santa paxe                       per mangiarlo in santa pace

co-i figgeu grandi e piccin,                       coi bambini, grandi e piccoli, 

co-i parenti e co-i vexin                            coi parenti e coi vicini, 

tutti i anni che vegnià                               tutti gli anni che verranno, 

cumme spero Dio vurrià.                        come spero Dio vorrà.

 

Roccocò e Struffoli, di Nicoletta

campania

Roccocò

Il roccocò è un dolce tipico della tradizione napoletana prodotto con mandorle, farina, zucchero, canditi e spezie varie. Ha la forma di una ciambella un po’ schiacciata e la prerogativa di essere duro come il marmo. Infatti, proprio a “causa” della sua consistenza, viene consumato immergendolo nel marsala, nel vermouth, nello spumante o nel vino bianco. Per tutto il periodo natalizio, le famiglie napoletane li offrono sulle proprie tavole insieme a susamielli, struffoli e zeppole, altri dolci tipici partenopei.

Cenni storici

La sua origine risale al lontano 1320, quando le suore del Real Convento della Maddalena si adoperarono nella sua preparazione. Il roccocò deriva dal termine francese rocaille che significa roccia, per via della forma tondeggiante e della consistenza solida.

roccocòPreparazione:

Tostate le mandorle in una padella facendo attenzione a non bruciarle. Lasciatene una ventina per la guarnizione esterna dei biscotti. Togliete le mandorle tostate dal forno e riducetele in granella con l’aiuto di un minipimer.

Su un piano da lavoro mettete la farina a fontana e versateci al centro lo zucchero, il miele, la granella di mandorla, il pisto, l’ammoniaca e le scorze grattugiate di limone e arancia.

Aggiungete poco alla volta l’acqua e cominciate ad impastare sin quando non si otterrà una pasta omogenea e dura.

Date la forma ai roccocò: prendete la pasta, fate dei salsicciotti e chiudeteli a formare una ciambella di circa 10 cm di diametro.

Posate tutti i roccocò su di una teglia ricoperta con carta forno, tagliate le mandorle che avevate tenuto da parte in pezzi abbastanza grandi e sistemateli sopra i biscotti. Spennellate la superficie con il rosso d’uovo sbattuto.

Cuocete per 15 minuti a 180°. Se li volete più croccanti, teneteli in forno per 5 minuti in più facendo attenzione a che non si brucino.

Una volta freddi servite con una bagna alcoolica.

Che cosa utilizzare per la bagna alcoolica? I più scelti sono liquori come il limoncello, il marsala, ma anche il vino, lo spumante o il vermouth: a voi la scelta!

Per la ricetta e la foto si ringrazia: http://www.ricettedellanonna.net/

Struffoli

Questo dolce è composto da tantissime palline di pasta, realizzata con uova, farina, zucchero e liquore, fritte nell’olio e avvolte nel miele. Le innumerevoli palline vengono poi guarnite con confetti colorati, canditi e cedro.

Cenni storici

Nonostante siano tipici della regione Campania, pare che gli struffoli non siano nati a Napoli. Ci sono due correnti di pensiero che collocano la nascita di questo dolce in due luoghi differenti. Alcuni sostengono che esistano dai tempi della Magna Grecia e che dunque siano nati lì; di fatti, nella cucina greca esiste tutt’oggi un dolce simile chiamato loukomades (trad. ghiottonerie).

Altri sostengono, invece, che l’origine degli struffoli sia di derivazione spagnola. Infatti, nella cucina andalusa, esiste un dolce simile, il piñonate, che è praticamente identico al dolce napoletano con la sola differenza che le palline sono più allungate. Secondo questa versione, l’origine degli struffoli risalirebbe al periodo che i Vicerè Spagnoli trascorsero a Napoli.

struffoliPreparazione:

Disponete la farina sul piano di lavoro e aggiungete lo zucchero, le uova, il burro (precedentemente ammorbidito), la vanillina, la scorza di limone grattugiata e il lievito.

Impastate bene ed energicamente fino ad ottenere un panetto di pasta omogeneo che dovrete lasciare riposare in luogo tiepido per almeno 4 ore.

Passate le 4 ore, riprendete la pasta e mettetela su un piano infarinato. Ricavatene dei cordoncini di circa 1 cm di diametro. Tagliateli per ottenere tanti cubetti uguali. Passateli tra le mani a formare delle palline.

Scaldate abbondante olio di arachidi in un tegame di acciaio dai bordi alti. Arrivati a 180° friggete le palline di pasta, poche alla volta, fino a che non saranno ben dorate. Scolatele su carta assorbente e fatele raffreddare.

In un altro tegame fate scaldare il miele assieme ad un bicchierino di Brandy e ad un bicchierino d’acqua portandolo fino ad ebollizione.

Passate gli struffoli nel miele, sempre pochi alla volta, e girate velocemente. Mano mano che li togliete dal tegame, formate sul piatto da portata un anello. Terminate decorando la superficie con le codette colorate, cedro e confettini.

Lasciate intiepidire e servite.

Zeppole e Susamielli, di Rose

campania1Zeppole

Tra i dolci natalizi campani immancabili sono le zeppole! Preparate in diverse varianti al nord e al sud del capoluogo, sono presenti su tutte le tavole campane durante il periodo di Natale. Io propongo la versione “sorrentina” forse meno conosciuta. Le zeppole sono uno dei dolci più tipici del Natale in quanto racchiudono i valori fondamentali della festa cristiana, ovvero la semplicità e la povertà. Infatti per prepararle occorrono davvero pochi ingredienti, acqua, farina, un po’ di latte, un goccio di anice e una scorza di limone.

Curiosità

Tra i mestieri napoletani esisteva anche quello della zeppollara che in strada friggeva queste ciambelle in strutto o grasso animale e le serviva ricoperte di miele.

zeppolePreparazione: 

Mettete acqua, latte, anice e sale sul fuoco lento e, prima che bolla, versate di getto la farina setacciata.

Mescolate con un cucchiaio di legno il composto lasciandolo sul fornello fino a quando questi non si stacca dalle pareti della pentola.

Versate la pasta ottenuta su di un piano di lavoro leggermente unto e lavoratela molto bene in modo da ottenere una pasta liscia de omogenea. Fate attenzione durante quest’operazione in quanto l’impasto è praticamente bollente.

Tagliate la pasta a pezzetti e arrotolate la pasta con le mani in modo da ottenere dei bastoncini di circa cm. 15 di lunghezza che avvolgerete su loro stessi ottenendo una forma di ” L”.

Pungete ogni zeppola con i rebbi di una forchetta, preparandone un piccolo quantitativo per volta per evitare che si formi alla superficie una patina dura che potrebbe comprometterne il risultato.

Friggete le zeppole in abbondante olio bollente, fatene assorbire il grasso su carta da pane. Infine, immergete le zeppole nel miele fatto sciogliere precedentemente sul fuoco a cui avrete unito l’anice, la buccia di limone e dell’arancia.

Cospargete le zeppole di confettini colorati (diavulilli).

Per la ricetta si ringrazia: http://www.sorrentoinfo.it

Susamielli

A forma di ‘S’ i Sosamielli, così venivano chiamati in origine,  venivano impastati con del miele liquido ed anticamente venivano distinti in sosamiello nobile, preparato con la farina bianca e v’era l’usanza di offrirlo alle persone di riguardo, il sosamiello per zampognari, impastato con farina ed elementi di scarto, che veniva offerto al personale di servizio, ai contadini in visita e a coloro che venivano a suonare in casa, ed in ultimo il sosamiello del buon cammino imbottito con la marmellata di amarene e che veniva offerto ai soli religiosi.

Curiosità

A Napoli, rammentando la grevezza degli ingredienti usati per questo dolce, si suole dare del “susamiello” ad ogni persona dal carattere greve e scostante che difficilmente riesce a familiarizzare con gli altri, risultando fastidioso e noioso; ma il dolcetto è buonissimo, pure se a prova di denti!

I susamielli in origine si chiamavano sesamelli, in quanto venivano ricoperti da semi di sesamo.

Esiste una variante dei susamielli, ed è detta “sapienza”, il cui nome pare derivi dalle suore del monastero della Sapienza, Suore produttrici di ottimi susamielli con l’aggiunta di mandorle intere poste sulla superficie dei singoli dolcetti.

susamielliPreparazione:

Tritare finemente nel mixer tutte le mandorle.

Mischiare le mandorle, lo zucchero, il pisto, il cedro, le scorzette, la cocozzata (il tutto tritato in piccoli pezzi) con la farina; scaldare a fuoco moderato il miele e, appena sciolto, unirlo alla farina, disposta a fontana, insieme con un pizzico di ammoniaca.

Lavorare l’impasto fino a quando non diventa omogeneo, a questo punto fare dei salamini e sistemarli su una teglia unta piegati a forma di S, schiacciandoli leggermente.

Infornare a 180° per 15-20 minuti circa.

Per la ricetta si ringrazia:

http://www.napularte.it

Buccellato, di Thelma

sicilia

Innanzitutto chiedo scusa per la mia non conoscenza sull’argomento.

Non amo molto mangiare i dolci, e in particolare non amo i dolci con frutta secca e canditi.

Ovviamente, nella mia città natale gli ingredienti maggiormente utilizzati sono questi due.

Data la mia, appunto, non troppo velata ignoranza sull’argomento, ho lanciato quindi un accorato post di aiuto su Facebook.

Ringrazio quindi tutti i miei amici palermitani per avermi risposto subito e avermi fornito particolari interessanti sul dolce che ho scelto di trattare.

Ho deciso quindi di parlare del buccellato.

è un dolce estremamente famoso, nonchè antico (confermato da tutti i commenti al mio status giunti) mangiato appunto durante le festività, oltre l’immancabile cassata siciliana.

Disonore su di me, sulla mia famiglia e sulla mia mucca.

Non ho mai assaggiato il buccellato, ma so che questo genere di tradizioni sono portate avanti ancora oggi. A casa mia si dava priorità al panettone e al pandoro, ma qualche volta

ho anche trovato la cassata ad attendermi, ma che a differenza del buccellato, viene mangiata anche in altre occasioni e festivita`. La preparazione dei fichi utilizzati per il dolce inizia infatti dall`estate. C`e` chi mette ad “asciugare” i fichi sui muri delle case, per esempio, proprio per averli pronti nei mesi invernali.

Possibilmente, per chi e` pratico, lo si cucina in casa, con le ricette che passando dritte dalle nonne ai nipoti, e spesso, custodite gelosamente, ma basta recarsi in una qualsiasi pasticceria palermitana per lasciarsi contagiare dai colori e dagli odori.

Purtroppo nel mio DNA la bravura in cucina e` piu` una specie di utopia, ma condivido la ricetta nel caso in cui si volesse sperimentare e portare un pizzico di Sicilia sulla propria tavola.

Ed ecco qui la ricetta del “Bucellato”, che potete anche consultare sul sito “Giallo Zafferano”, dove troverete anche dei passaggi fotografati.

buccellatoIn una ciotola capiente (o nella planetaria) amalgamare lo strutto con lo zucchero, aggiungere la farina già setacciata con il lievito, impastare e aggiungere le uova, l’essenza, l’ammoniaca con il latte. Impastare il tutto ottenendo un impasto liscio, formare un panetto avvolgerlo con la pellicola e fare riposare in frigorifero almeno un’ora.

In un mix versare la frutta secca e frullare, sminuzzarla finemente ma non spolverizzarla, sminuzzare il cioccolato fondente e le scorze candite, versare il tutto in una ciotola, aggiungere gli altri ingredienti e mescolare con un cucchiaio, coprire la ciotola e fare riposare in frigo almeno uníora.

Uscire il panetto dal frigo e lasciare a t.a. circa 10 minuti, stenderla con il mattarello, disporre il condimento, avvolgere e tagliare formando i biscotti della misura che si preferisce, tenendo conto che durante la cottura lieviteranno quasi il doppio. Disporli nella teglia rivestita con carta forno e cuocere in forno preriscaldato a 180∞ per 8/10 minuti.

Nel frattempo che i buccellati sono in forno preparare la glassa; versare in una ciotola lo zucchero a velo, un albume, un pizzico di sale e il succo del limone, frullare il tutto con le fruste e ottenere un composto omogeneo.

Ricoprire i buccellati con la glassa di zucchero e le codette colorate. Fare asciugare i buccellati su un vassoio per un giorno interoÖÖ e poi se rimangono si possono conservare in una scatola di latta anche per un paio di settimane.

Ma qual è la storia di questo dolce?

La parola buccellato viene dal latino “bucellatum”; la traduzione sarebbe il nostro “sbocconcellato” mentre in Siciliano si pronuncia “cucciddatu” o “cudduredda” (a seconda di dove vi troviate).  Essendo un dolce morbido, viene appunto “sbocconcellato” e mangiato quindi a piccoli pezzi. In Sicilia, nella provincia di Palermo, nel delizioso borgo medievale di Caccamo viene anche istituita una sagra dedicata a questo dolce, con annessa una guida al castello medievale, e la particolarità dei dolci siciliani è quella di essere il più colorato possibile, richiamando anche in un certo senso i colori della nostra terra. Data l’estrema morbidosità del dolce è possibile consumarlo anche giorni dopo, e ovviamente, ogni città ha la sua variante.

Siete curiosi di leggere la ricetta in Siciliano?

“ëMpastati 300 gr di farina cu 125 gr di burru, 50 gr di zuccaru e una cucchiara di vinu bonu di Marsala. ëMpastati bonu e lassati ripusari líimpastu pu níura. A parti, priparati la conza cu 300 gr di ficu sicchi, 200 gr di passolina, 50 gr di nuci, 30 gr di pinoli, 30 gr di scorcia díaranci candita e 30 gr di cioccolattu. Sminuzzati tuttu e agghiuncitici zuccaru di tantu in tantu. Pigghiati la pasta e allungatela su un chianu cu un lasagnaturi, stinnitici in capu la conza e gnutticati la pasta pi falla addivintari ëna ciambedda. Pigghiati na tegghia, imburratila e infarinatila. Zittitici rientra u cucciddatu e spannitici supra líovu sbattutu. Cociti nna lu furnu finía quannu pigghia coluri díoru, culatici cacchi cucchiarati di meli cavuru pi fallu addivintari lucidu e ornatile cu pizzuddicchia di frutta cannita.”

 Vi lascio quindi con questa breve spiegazione di un dolce famoso, e.. buon appetito!