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Jack Kerouac

L’anima beat che corre sulla strada

Sono nato […] in Lupine Road, alle cinque di un pomeriggio tutto rosso del marzo 1922, all’ora di cena, mentre nei saloon […] si servivano stancamente boccali di birra alla spina e il fiume correva con il suo carico di ghiaccio sulle rocce scivolose e arrossate, e sulle rive ondeggiavano le canne tra materassi e stivali smessi, relitti del Tempo, […] sotto la neve fradicia della collina, scaldata dai raggi perduti del sole […] è lì che sono nato” – Il Dottor Sax

Jack Kerouac descrive così la sua nascita, inserendola nell’incipit del romanzo che considera il migliore di tutta la sua produzione, ovvero Il Dottor Sax (pubblicato nel 1959).

JK Ed è infatti il 12 marzo del 1922 che il piccolo Jean Louis Kerouac (soprannominato in seguito  Jack) viene al mondo, in una piccola cittadina del Massachussets, Lowell, nota per essere parte di  una zona industriale depressa da cui, se si vuole diventare artista o scrittore, l’unica possibilità è  andarsene. Ed è proprio questo il destino che attende il giovane: la scrittura, il viaggio, la matita, la  notorietà.

 Sin da adolescente sente dentro di sé la volontà di liberarsi, di dare un senso alla propria esistenza,  di vagabondare alla ricerca del luogo in cui trovare la pace interiore che tanto brama.

 Tale è la sua smania di fuggire alla sensazione di vuoto che lo opprime nell’ambiente familiare  (soprattutto a causa delle premature scomparse del fratello e del padre) che, sin da subito, abbraccia l’idea di cavalcare i grandi spazi del Nord e del Centro America.

Colui che diventerà il ‘papà del movimento BEAT‘ è un giovane come tanti altri, pieno di incertezze, di inquietudini, che cerca attraverso la scrittura di uscire da quella dimensione per mirare al brio, alla libertà, all’allegria del jazz, della musica dei neri, piena di vita e di passione.

A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione” – On the Road

Con la sua prosa crea delle vere e proprie esplosioni spontanee di parole: sin da subito pretende che i suoi dialoghi, i suoi scritti, esprimano il flusso di energia, senza limitarsi alla pura descrizione attraverso una distante osservazione. L’osservatore è un ente inutile: vivere, respirare, gioire, soffrire … queste sono le uniche vie che Kerouac approva e che considera utili per la scrittura. Egli scrive solo ciò che conosce, solo ciò che ha provato sulla sua pelle, solo ciò di cui è stato attore protagonista, non solo testimone.

La scrittura, il rumore della matita che gratta sulla carta, il battere incessante dei tasti della macchina da scrivere … questi sono i soli modi che Jack Kerouac ha per esprimersi, oltre al viaggio.

Quello di viaggiare verso Ovest è da sempre un suo sogno antico: attraversare il continente americano in autostop, sulla Route 6, da Cape Cod sino a Los Angeles, passando per Denver. Proprio in On the Road, il romanzo che lo consacra come membro di spicco di un’intera generazione, come portavoce del movimento nato negli anni Quaranta, la Beat Generation, descrive la sua voglia, la sua necessità di gettarsi sulla strada.

Nelle pagine del romanzo srotola tutte le sue esperienze collegate al nastro d’asfalto che sfreccia e si getta lontano, verso l’orizzonte e che hanno 600full-jack-kerouaccaratterizzato ben sette anni della sua vita. Nessun limite, nessun condizionamento. Solo aria, vento, respiro.

Nel suo capolavoro, Kerouac riesce a imprimere su carta l’America vera, l’America come poesia, che si apre dinnanzi a un Jack venticinquenne, pieno di aspettative e di sogni che, passo dopo passo, iniziano a realizzarsi e a diventare concretamente reali.

Sapeva sin da subito che il suo destino era quello di andarsene: “Sapevo che da qualche parte ci sarebbero state ragazze, visioni, tutto; da qualche parte la perla mi sarebbe stata offerta” – On the Road.

La sua vita sino ad allora pare ai suoi stessi occhi come piatta: “[...] non c’era abbastanza estasi per me, né abbastanza vita, gioia, eccitazione, buio, musica, non c’era abbastanza notte!” – On the Road. Il viaggio che intraprende il giovane Kerouac non è solo un’esperienza di vita, in attesa del sopraggiungere della maturità e della stabilità, ma è un itinerario spirituale, introspettivo, un cammino artistico in attesa “che Dio mostri il suo volto”. In questo, si inserisce perfettamente nella corrente beat che si sviluppa, a partire dagli anni Quaranta in America, con lui e grazie a lui: “la filosofia della Generazione Beat consiste nel desiderio di essere altrove, fuori da questo mondo, puri, estatici, salvi”.

Jack Kerouac si sente vittima di un mondo che sta crollando, di impalcature sociali che si reggono su colonne in fase di decomposizione, traballanti sotto il peso di nuovi spunti e nuove forme d’arte e di vita. La civiltà dei bianchi gli va stretta; invidia la libertà della musica nera, quella vera che entra nel corpo e dà vita.

[...] in una sera colorata di lilla […]

Vorrei essere un nero, perché so che tutto ciò che di meglio può offrire il mondo dei bianchi non è abbastanza per me” – On the Road

Kerouac trova se stesso e la libertà che lo caratterizza solo sulla strada. “La grande casa dell’anima è la strada. – Lawrence, altro esponente della Beat Generation, sintetizza perfettamente il pensiero del più famoso Kerouac – Non il cielo, non il paradiso. Non il ‘sopra’. Non il ‘dentro’. L’anima non è né ‘sopra’ né ‘dentro’. È un vagabondo sulla strada. […] Non attraverso la carità. Non con il sacrificio. E nemmeno con l’amore. Non per mezzo di opere buone. Non è attraverso queste cose che l’anima si realizza. Solo con il viaggio sulla strada. Il viaggio in se stesso, lungo la strada. Esposti al contatto. Su due piedi lenti. Incontrando chiunque passi sulla strada. In compagnia di coloro che vagano nello stesso modo lungo lo stesso cammino. Verso nessun obiettivo. Sempre la strada”.

Niente dietro di me, tutto davanti a me, come è sempre sulla strada” – On the Road

1 Kerouac sperimenta, sempre, in vita come sulla carta: la sua scrittura prende la forma di una  prosa dai tratti poetici, di una musica eccitante, come quella che esce potente da uno dei dischi “di  colore” che trasmettono alla radio dell’auto in corsa, che sfreccia con i finestrini abbassati a una  velocità oltre i limiti consentiti, su una strada distesa laggiù, nel sud degli Stati Uniti. È un uomo di  sogni più che di progetti concreti, che si lascia travolgere dall’impeto del momento, dalla vita vera,  dalla brezza che gli scompiglia i capelli, dalle boccate di aria fragrante che inala gettando la testa  fuori dal finestrino.

Ecco chi è Jack Kerouac. È un essere perennemente alla ricerca di un qualcosa, di una risposta ad una domanda che si pone da una vita intera ma che nemmeno lui conosce. E’ materia che vibra, una personalità a più facce, ubriaco di vita e della calca umana che gli ruota attorno.

[...] le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno «Oooooh!»”

- On the Road

Ma è anche il solitario che si immerge nel proprio silenzio, che si perde nel nulla, che respira solo nella vasta immensità del continente.

[...] feci una breve passeggiata lungo i solitari muri di mattoni illuminati da un solo lampione, con la prateria addormentata in fondo a ogni stradina e l’odore del granturco come rugiada nella notte” – On the Road

Consigli di lettura:

  • On the Road (1957) di J. Kerouac

  • Jack Kerouac – L’angelo caduto (1997) di S. Turner