Patrick Modiano… un Nobel silenzioso

“per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”

patrick

Il premio nobel per la letteratura quest’anno è andato allo scrittore francese Patrick Modiano. È questo l’ultimo tassello che va a unirsi alla tendenza, ormai consolidata già negli anni recenti, dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze di premiare e dare maggior lustro ad artisti che altrimenti rimarrebbero forse relegati in una dimensione più settoriale o quantomeno nazionalmente limitati.

Non stupisce quindi che, all’indomani della sua vittoria, andando a chiedere un suo romanzo in qualunque libreria vi capiti di entrare, si rischi di ottenere come risposta dei semplici «Al momento siamo sprovvisti» oppure «Dovrebbe arrivare qualcosa nei prossimi giorni».

Ecco che quindi la domanda sorge spontanea: chi è Patrick Modiano e, soprattutto, perché ha vinto questo prestigioso premio?

Innanzitutto, spulciando la sua biografia, si scopre che questo autore dall’aria schiva e per nulla avvezzo alle interviste è nato in un piccolo paese vicino a Parigi nel 1945, che il padre era un ebreo francese aventi origini italiane e che deve la sua passione per la scrittura e la sua conseguente professione all’amico Queneau, il quale lo inserisce nel mondo letterario in cui verrà inevitabilmente assorbito grazie al suo talento e alla sua originalità.

È una artista eclettico e poliedrico: scrive in modo particolare romanzi ma è anche documentarista, paroliere e commentatore di opere firmati da alcuni dei suoi colleghi stimati e apprezzati (sua è, ad esempio, la prefazione dell’edizione del 2009 di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque).

Il suo primo romanzo, edito da Gallimard nel 1967, è La place de l’Étoile. In esso, come anche nella produzione successiva dell’autore, l’ambientazione ha lo sfondo di una Parigi grigia, spoglia, occupata.

I nazisti pervadono a passo di marcia le pagine di Modiano, diventando il simbolo privilegiato per portare sulla carta la figura dell’esule, dello straniero. Ma accanto ad essi, al polo opposto, si stagliano gli ebrei, vittime più o meno consapevoli, anche loro simbolo di diversità e di contrasto.

Il tema dello straniero è forse tra i più cari alla letteratura e alla cinematografia in genere, tanto che leggendo l’autore, novello premio nobel, si viene immediatamente sbalzati in un’epoca di guerra, in cui tutto viene visto attraverso l’occhio di una telecamera fissa sul pregiudizio e che fa scorgere i dettagli attraverso una lente appannata di ipocrisia e risentimento.

Senza dover andare troppo in là, gli stessi Pavese e Fenoglio, nei loro racconti e romanzi di Resistenza e lotta partigiana, delineano figure di stranieri, imbrigliati nel fango e nelle nebbie piemontesi.

La Ronde de nuit, I viali di circonvallazione e Villa triste, solo per citare alcuni dei romanzi più noti, sono storie intere basate su uomini agghiacciati dalla nostalgia, eroi inconsapevoli delle loro tragedie e protagonisti del loro desiderio di rievocazione. Come l’antico mito greco di Ulisse, eroe nostalgico per eccellenza che sogna di tornare in patria, anche i personaggi dell’autore francese sono disseminati da una fitta vena di sentimentalismo e di dolore, tipico di tutte quelle opere che descrivono in modo personale fatti di drammi realmente vissuti (primi fra tutti, quelli incentrati sulla devastazione dell’Olocausto e sulle sue conseguenze più nere).

Gli eroi e i protagonisti della penna del nuovo premio nobel sono uomini che hanno visto la crudeltà con i loro occhi, che hanno vissuto l’atrocità di un conflitto immane. Vi è in essi la tematica del superstite, di colui che torna ma che non si ritrova nello sfondo in cui si è visto catapultato: il tutto ricorda, in modo deciso, il Beckmann, protagonista dell’opera teatrale Drauβen vor der Tür (Fuori davanti la porta) di Borchert, dove a farla da padroni non sono i fasti della vittoria ma la solitudine di chi vede morire le sue speranze.

Altro filo rosso che accompagna tutte le opere di Modiano è la figura del padre. In questo senso, ancora più che nei temi precedentemente accennati, si vede chiara l’autobiografia che prende spazio. Modiano spesso parla di suo padre, un ebreo che fu sì vittima del Nazismo ma che, una volta catturato, non si fece scrupolo alcuno, sfruttando amicizie collaborazioniste al solo scopo di sopravvivere. È da biasimare per questo? Modiano lascia un interrogativo aperto. Certo è che questo rapporto non propriamente idilliaco con l’autorità paterna ben traspare dalle frasi dei suoi romanzi, tanto da far intravedere echi forse più noti ai più e riscontrabili da chiunque si imbatta in un’opera di Kafka, altro grande artista tormentato dall’ambiguità della padre.

Per concludere, va sottolineato come l’intera produzione di Modiano non si basi solo ed esclusivamente sui toni cupi qui descritti, ma anzi riesce ad aprire porte ben più vivaci e leggere: basti pensare, in questo senso, ai romanzi per ragazzi, tradotti anche in Italia, quali Sogni senza occhiali e Caterina Certezza.

Ultima nota: nonostante alla sua vittoria ai più sia apparso un emerito sconosciuto, dalle sue opere sono stati tratti film e pellicole che hanno avuto un notevole successo, soprattutto ovviamente in Francia. Une jeunesse è un film del 1983 tratto dal romanzo omonimo del 1981 e diretto da Moshé Mizrahì; Le parfum d’Yvonne è invece uscito nel 1993, film di Patrice Leconte; i due più recenti sono Te quiero (2001) di Manuel Poirier e Charell (2006) di Mikhael Hers.