Le donne nelle fiabe

Carl Jung, (psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero) fu una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico e sosteneva che le fiabe sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa.

L’analisi delle fiabe secondo i principi della psicologia analitica di Jung è stata portata avanti da Marie-Louise von Franz (psicanalista svizzera) che ha dedicato a questo soggetto ben cinque saggi tra cui Il femminile nella fiaba; la von Franz nelle sue opere invita ad imparare dalla saggezza che si esprime nelle fiabe qualcosa che sia utile oggi, e si muove attraverso la comparazione tra l’interpretazione di alcune fiabe e i casi clinici che ha trattato.
Adesso voglio porre la vostra attenzione su come dagli archetipi fiabeschi derivi una psicologia del femminile capace di dare risposte a domande che l’epoca attuale si pone.

GUARDARE DENTRO DI NOI. Antiche, rielaborate, tradizionali, le fiabe rappresentano una sorta di specchio della realtà umana. Nelle trame, nelle vicende e nei personaggi, riconosciamo i modelli archetipici che corrispondono a contenuti più profondi della coscienza. Le speranze, le paure, le passioni, le inquietudini – grazie all’effetto estraniante che consente di proiettare su altre entità ciò che vive nella profondità della psiche – emergono in superfice e assumono forma concreta nelle fattezze dei protagonisti e nelle loro relazioni. In effetti, scrutare nelle fiabe è come guardare dentro di noi, come spulciare all’interno di quell’anima primordiale che – più o meno – ci portiamo tutti dentro. In questo senso, le figure fiabesche femminili possono aiutarci a mettere in risalto alcune concezioni di fondo sulle donne, tanto radicate quanto misteriose, che viaggiano nella mentalità comune e nella società odierna. La fiaba, quindi, può essere vista come un prezioso materiale per analizzare idee e pregiudizi correnti.

embracing_the_darkness_by_dreamswoman-d821p48 LA STREGA

Una delle figure femminili archetipiche è quella della strega. Dal punto di vista esteriore, la strega viene sempre rappresentata poco femminile e cadente se la si confronta con il lindore e l’ordine che i canoni tradizionali di bellezza della donna impongono. La strega è brutta, cattiva, smodata nell’odio e nel desiderio di fare del male e riassume in sé tutte le caratteristiche della donna “vera” così come la disegna una lunga tradizione di misoginia e maschilismo: la donna temibile e malvagia, il pericolo da contrastare o addirittura annientare. E’ anche opportuno dire che, al contrario delle fate – le loro omologhe positive – le streghe sono davvero esistite e sono state bruciate al rogo perché accusate di compiere malefici. Ecco perché uno degli slogan in voga all’epoca del primo femminismo era “le streghe sono tornate”. In quelle parole provocatorie era celata la rivendicazione di attitudini, pratiche e conoscenze appartenenti all’esperienza femminile come l’utilizzo di erbe per curare malattie, la preparazione del cibo, la gravidanza, il parto, l’intimità col neonato. Un’esperienza unicamente femminile che, proprio per la sua peculiare contiguità con vita e morte, suscitava paure incontrollate tanto da indurre a vedere le streghe non solo nelle fiabe ma anche nel mondo reale.

titania_by_dreamswoman-dakiu8j LA FATA

Opposta alla figura della strega c’è la fata: creatura benefica anche se spesso strana e bizzosa, che entra in scena in momenti cruciali vissuti dal protagonista per offrire il suo prezioso aiuto. Tanto le streghe sono legate all’oscurità quanto le fate sono legate alla luce; la maggior parte delle fate sono di una bellezza fuori dal tempo, gentili e incantate, ma ci sono anche quelle grassottelle, dall’aria tenera di vecchie zie e un po’ imbranate – basti ricordare Flora, Fauna e Serenella de La bella addormentata nel bosco. Spesso appaiono sotto mentite spoglie per mettere alla prova i loro protetti: abbigliamento anonimo, nessun segno esteriore che faccia intendere le magie di cui sono capaci, qualche domanda strampalata ma sempre sagace se non profetica per testare gli interlocutori. Nel loro rapporto con gli umani assumono per lo più un atteggiamento incoraggiante e benevolo ma imperscrutabile che richiede il massimo della collaborazione “a fiducia” da parte dei beneficiati. Che l’arrendevolezza sia una virtù agli occhi delle fate è noto a tutti coloro che, colpevoli di un attimo di perplessità o di un moto di reazione, ne hanno poi dovuto sopportare le conseguenze. Spesso, infatti, il sospetto di una mancanza, una spontanea antipatia o un’ombrosità improvvisa possono indurre la fata a gesti punitivi, magari corretti da una compagna più disponibile. L’ambiguità della fata, dunque, mette in risalto un altro lato dei pregiudizi antifemministi: l’inaffidabilità, l’instabilità di carattere e la volubilità che si attribuiscono alle donne.

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Accanto a fate e streghe circolano numerose donne vere, assortite innanzitutto in base ai ruoli familiari e parentali che ricoprono: la madre, la madrina, la matrigna, la nonna, la moglie, la sorella, la figlia. E altrettanto vario è l’elenco delle categorie sociali ed economiche: la regina, la principessa, l’usurpatrice, la domestica, la contadina, la cuoca e via dicendo. Insomma, una selezione di donne in contrapposizione: quella che dispone di tesori per eredità, quella agiata, quella che lavora, quella che stenta a sopravvivere. sono varie le figure femminili “umane” che incontriamo nelle fiabe ma, senza ombra di dubbio, la più ricercata è sempre la fanciulla perseguitata. La troviamo sotto vari nomi e vesti, in ambienti diversi, esposta a diverse forme di maltrattamento, prepotenze. Cenerentola è forse l’esempio più vistoso tanto da essere nota con il suo nome dispregiativo invece di quello originario (sconosciuto per di più). Queste fanciulle sono tutte vittime: vittime di madri ottusamente parziali, di matrigne gelose e cattive, di fratelli o parenti maschi prevaricatori, di estranei che irrompono nella loro vita stravolgendola, della maldicenza della comunità. Sono vittime costrette a grandi sofferenze prima di trionfare grazie alle proprie virtù. Vittime sono la figlia del sultano e Griselda nel Decameron del Boccaccio; vittima è la sopra citata Cenerentola e vittima è la più recente Elsa di Frozen. Ma ad essere perseguitata non è la principessa, la contadina o la gitana: ad essere perseguitata è l’innocenza di queste giovani donne che – alla fine della fiaba – riesce a trionfare grazie alle buone qualità delle protagoniste e spesso dalla loro astuzia, tipica virtù di coloro che devono affrontare posizioni di inferiorità o situazioni difficili. Quando le disgrazie della ragazza sono giunte al termine, ella viene ripagata solitamente con un buon matrimonio. Cenerentola, infatti, sposa il Principe Azzurro, tanto bello e perfetto da essere diventato un prototipo. Il matrimonio principesco si contrappone alla condizione precedente della fanciulla e il fatto che un principe – o comunque un uomo di elevato rango – si innamori di una povera ragazza ma meritevole di attenzioni, segna la grande occasione di mobilità sociale, altrimenti preclusa, per le giovani donne protagoniste delle fiabe. Anche in questo caso, le loro virtù portano al successo e disegnano la figura di una donna mite, affettuosa, condiscendente, abili nei lavori domestici e ancor più belle perché valorizzate.

Il tutto riassume un sottile insegnamento: la pazienza e l’accettazione delle disgrazie si dimostrano indispensabili per raggiungere il lieto fine; lo spirito di sacrificio e l’attesa rassegnata segnano inequivocabilmente il destino delle donne.

Commento personale
Con questo excursus all’interno delle fiabe ho avuto modo di riflettere a fondo: non ci avevo mai pensato prima e quindi ne approfitto adesso per lasciarvi un commento a caldo per chiudere questo articolo.
Nelle fiabe entriamo in mondi lontani, magici e immaginari: ditemi che da bambine non avete mai sognato di essere principesse e vivere in un castello e non ci crederò. Ma lette col senno di poi, le tanto amate e magiche fiabe non sono poi così incantevoli. Certo, i maschietti si rivedono in posizioni di potere: re, principi, cavalieri… a loro sta bene, no? Invece, la figura della donna è stereotipata al 100%: la donna-mamma, la donna-che pulisce, la donna-che non lavora, la donna-felice col matrimonio.
Fatta eccezione per alcune fiabe come Mulan, Brave e Frozen (non me ne vengono altre in mente, se le avete commentate!) nelle fiabe non si parla mai di donne realizzate senza un uomo. Non si parla mai di donne che possiedono beni materiali perché li hanno guadagnati senza matrimonio. Non si parla mai di donne che combattono o che amano altre donne. Ma perché? Anni di battaglie e diamo ancora tanto fastidio. Eh già, magari le fiabe le hanno scritte degli uomini quindi che pretendo… Ma ditemi se oggi, nel 2018, la situazione è tanto diversa da una fiaba scritta nel 1800 o che, addirittura, risale al tempo degli Egizi (vedi Cenerentola, dato che l’abbiamo tirata in ballo più volte).
E il problema non è più il fatto che gli uomini dicano cose sulle donne… ma che le DONNE dicano cose su altre DONNE!
Basti citare le pancine, nuovo nomignolo che si sono affibbiate da sole le mamme – ma non le mamme normali come la mia e la vostra che state leggendo – qui si parla di donne che mancano di informazione medica, di cultura e di logica che sanno soltanto additare e mandare al rogo tutte quelle in carriera e che magari non vogliono figli.
Ma dove sta scritto che dobbiamo per forza fare i figli? Ma dove sta scritto che dobbiamo per forza occuparci della casa, lavare, stirare e quant’altro? Ma dove sta scritto che per essere felici dobbiamo avere accanto un uomo?
Io sono donna, lavoro e vorrò diventare mamma in futuro ma ciò non toglie che se una mia coetanea (ho 27 anni) mi dicesse che lei figli non li vuole manco se la pagano, io debba etichettarla come non-donna o debba giudicarla. Ma nel 2018 possiamo fare della nostra vita, del nostro corpo e delle nostre relazioni ciò che ci pare e piace?